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Mascherine, guanti e altri rifiuti. Come risolvere il problema ambientale

rifiuti ambientali

Il problema Covid e quello dei rifiuti vanno di pari passo: mascherine, guanti e altri dispositivi di protezione che, una volta usati, vanno smaltiti.
Come fare?
Non c’è un campo in cui il Covid non abbia influito in modo negativo: anche l’ambiente, già provato dalla montagna di rifiuti che gettiamo annualmente e dalle emissioni che lo soffocano, è stato colpito dalla pandemia e dall’utilizzo massiccio di dispositivi di protezione individuale (DPI) usa e getta come guanti e mascherine.

Dopo l’ultimo, allarmante rapporto dell’IPCC, che ci fa capire che dobbiamo darci una mossa se vogliamo avere un futuro nel Pianeta in cui viviamo, trovare una soluzione al problema dei rifiuti prodotti dalla pandemia diventa ancora più vitale.

Un articolo della Thomson Reuters Foundation illustra qualche brillante idea di alcuni giovani inventori di varie parti del mondo che hanno scovato dei modi per dare nuova vita ai nostri rifiuti pandemici.
Tamara Chayo e i camici riutilizzabili
Una giovane studentessa di ingegneria chimica ha inventato un camice riutilizzabile per il personale ospedaliero: un dottore arriva a usare e gettare fino a quattro camici al giorno, contribuendo all’accumulo di rifiuti.
I suoi camici sostenibili possono invece essere lavati fino a 50 volte senza perdere la loro proprietà protettiva: ogni indumento verrebbe riutilizzato, con un notevole risparmio anche a livello economico per gli ospedali.

Da mascherine a mattoni
Uno studio pubblicato su Environmental Science and Technology afferma che durante i primi mesi della pandemia, nel mondo, sono stati utilizzati circa 129 miliardi di mascherine usa e getta (fatte, ricordiamolo, di microfibre di plastica) e 65 miliardi di guanti al mese.
Secondo le Nazioni Unite il 75% della plastica generata durante la pandemia finirà in mare o in discarica.
Per evitare che questo accada, un’altra idea brillante arriva da Binish Desai, un giovane indiano: trasforma le mascherine chirurgiche in mattoni di plastica, con i quali in India costruisce scuole e case a basso costo. I suoi mattoni sono tre volte più resistenti dei normali mattoni in argilla, sono grandi il doppio e costano quasi la metà.

Nuova vita alla plastica
Anche la Thermal Compaction Group (TCG) costruisce mattoni a partire dai DPI: le sue macchine fondono camici, mascherine, visiere e tende divisorie per creare mattoni di plastica, cassette degli attrezzi e molti altri oggetti in plastica. La temperatura all’interno di queste macchine raggiunge i 300 °C, per cui non c’è rischio che virus e batteri sopravvivano.

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